Epidemiologia
I costi sociali di questa condizione sono considerevoli. Lo è tanto il peso indotto (sono persone che non producono) quanto quello indiretto (pesano sulla famiglia), ma dall’esordio in poi diventano enormi anche le spese vive: il più delle volte questi pazienti seguono una lunga psicoterapia (minimo due anni) e trattamenti psicofarmacologici costanti (non meno di un anno, usualmente a base di generose dosi di serotoninergici e benzodiazepine). Il disturbo, per quanto clinicamente lieve o compensato, grava per migliaia di euro l’anno sulle spalle del paziente o dello Stato; cionondimeno, comparirà difficilmente in statistiche o in voci di bilancio ufficiali perché è di difficilissima quantificazione: dapprima, perché è inquantificabile una mancata risorsa; dopo l’esordio, perché questi pazienti più raramente degli altri ricorrono al servizio pubblico non trovandovi il setting adatto. La involontaria capacità del paziente di sfuggire alle statistiche è peraltro un altro fatto non contingente: si tratta spesso di persone relativamente benestanti o comunque poco inclini a rivolgersi ad ambulatori pubblici (dove, comunque, la capacità di offrire psicoterapie analitiche a lungo termine è obiettivamente insufficiente) e capaci se necessario di affrontare le spese farmacologiche senza la puntuale prescrizione dello specialista pubblico. La prognosi del disturbo non trattato o rientrato in una fase di compenso, infine, è (almeno ipoteticamente) severa quoad functionem, visto che è prevedibile una ricaduta al successivo life-event. Parliamo quindi — mi si passi la metafora — di una massa oscura che nessuno vede al telescopio, ma dagli imponenti effetti gravitazionali.
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