11 – Conclusioni e bibliografia

1 Ottobre 2004Nevrosi e Persona, 🇮🇹 Italiano

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Epidemiologia

I costi sociali di questa condizione sono considerevoli. Lo è tanto il peso indotto (sono persone che non producono) quanto quello indiretto (pesano sulla famiglia), ma dall’esordio in poi diventano enormi anche le spese vive: il più delle volte questi pazienti seguono una lunga psicoterapia (minimo due anni) e trattamenti psicofarmacologici costanti (non meno di un anno, usualmente a base di generose dosi di serotoninergici e benzodiazepine). Il disturbo, per quanto clinicamente lieve o compensato, grava per migliaia di euro l’anno sulle spalle del paziente o dello Stato; cionondimeno, comparirà difficilmente in statistiche o in voci di bilancio ufficiali perché è di difficilissima quantificazione: dapprima, perché è inquantificabile una mancata risorsa; dopo l’esordio, perché questi pazienti più raramente degli altri ricorrono al servizio pubblico non trovandovi il setting adatto. La involontaria capacità del paziente di sfuggire alle statistiche è peraltro un altro fatto non contingente: si tratta spesso di persone relativamente benestanti o comunque poco inclini a rivolgersi ad ambulatori pubblici (dove, comunque, la capacità di offrire psicoterapie analitiche a lungo termine è obiettivamente insufficiente) e capaci se necessario di affrontare le spese farmacologiche senza la puntuale prescrizione dello specialista pubblico. La prognosi del disturbo non trattato o rientrato in una fase di compenso, infine, è (almeno ipoteticamente) severa quoad functionem, visto che è prevedibile una ricaduta al successivo life-event. Parliamo quindi — mi si passi la metafora — di una massa oscura che nessuno vede al telescopio, ma dagli imponenti effetti gravitazionali.

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10 – Colpa, vergogna, responsabilità

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Colpa, vergogna, struttura sociale

Nelle storie dei nostri pazienti esistono altri due aspetti che non ho ancora nominato, ma che appaiono fortemente problematici: la colpa e la vergogna. Questi due vissuti vengono fortemente negati ed evitati, e di rado appaiono esplicitamente nel colloquio psicoterapeutico nonostante se ne percepiscano di continuo gli echi.

Non approfondirò in questa sede le interpretazioni analitiche, che richiederebbero uno spazio congruo. Mi sembra invece interessante riflettere sulle risonanze sociali e culturali che attraversano lo spazio antropologico in cui compare la psicopatologia qui descritta. In ciò, ovviamente, sposto l’attenzione dalla dinamica intrapsichica a quella collettiva, cui attribuisco un ruolo maggiore a quello di semplice spettatore.

Per affrontare questo argomento, possiamo partire da molto lontano, anzi, quasi dall’inzio:

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9 – Dal caso al contesto

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Incatenati dalla libertà?

La titolarità dell’azione è quindi la vittima predestinata di questa sequenza di crimini. Il paziente rimane soggetto solo in quanto “soggetto passivo di esperienza” perdendo la propria capacità di eseguire atti consapevoli (l’actus humanus) e responsabili. In una parola, perde la propria libertà.

Egli resta confinato in un limbo, dotato di un Io continuamente sub iudice, nell’attesa di un indefinito ed indefinibile compimento. L’attesa è però piatta e vana, non abita il tempo nel suo ad-tendere, è bensì un non-tempo vuoto di avvenimenti.

Egli scarta ogni ipotesi di sé (e del mondo che lo circonda) che non rispetti un ideale precostituito e perfetto, un ipotetico e generico appagamento del proprio desiderio; quest’ultimo peraltro viene definito solo in negativo, come mancanza di difetto. È un ideale vuoto anch’esso, perché non incarnato: è non-esistenza, non-scelta, non è nulla in particolare, è l’abbandono di nessuna via. Il tempo trascorso è tempo perso perché imperfetto, segnato dalla ferita dell’e-sistenza; e, del resto, verso l’ideale non ci si incammina per non restare vittima del frattempo.

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8 – La persona come soggetto dell’esistenza

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All’origine del problema

La presenza del corpo, la percezione di un tempo in divenire, la relazione con l’alterità sono tre elementi che consideriamo fenomenologicamente dati e anzi costitutivi dell’esistenza stessa. Nel nostro caso – come fin qui dimostrato – questi elementi non si danno nella loro “naturalezza”, ma appaiono in qualche misura defettuali; abituati al confronto lacerante con la psicosi, con la sua evidenza, con l’angoscia che l’accompagna e la sostiene, rischiamo di non accorgerci di quanto possano essere “defettuali” esistenze congelate nell’incompiutezza, esistenze che sfuggono all’analisi, si nascondono all’evidenza, sono tormentate da un’angoscia sorda ed invisibile.

Siamo dunque giunti a ciò che c’è dietro e prima della fenomenologia clinica, ovvero a ciò che ci interessa non tanto per porre diagnosi o per stabilire una terapia (basta a questo quanto fin qui detto), quanto per comprendere un senso ed immaginare una prevenzione.

Dalla frammentazione iniziale della sintomatologia siamo giunti ad un più sintetico assortimento psicopatologico; esso sembra offendere i presupposti stessi dell’esistenza: il corpo, il tempo, la relazione. Voglio riconoscere come punto di repere essenziale all’interno di questo trittico, più specifico interprete dell’esistenza, nonché vera vittima del nostro problema, il concetto di persona. Questa scelta rappresenta una precisa presa di posizione.

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7 – Psicopatologia e diagnosi

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Elementi isterici

La psicopatologia di questi pazienti – come detto – è piuttosto eterogenea, essendo contemporaneamente presenti sia tratti isterici (sia nel senso dell’isteria propriamente detta che sotto forma di isteria d’angoscia) che ossessivi.

Caratteristicamente isterico è il rapporto fortemente impressionistico con il passato, con la memoria e con la ricostruzione degli eventi, nonché il fatto che il paziente focalizzi la relazione in base all’evitamento delle possibilità di abbandono e alla risposta alle aspettative.

La sessualità è in tutti i casi coartata, l’identità sessuale è labile; non è presente desiderio per l’atto in sé, vissuto in via subordinata ad altri aspetti della vita psichica (gratificazione, identificazione, mantenimento del legame, adesione al ruolo etc.).

Il sintomo – al di là della sua manifestazione – si accresce di un elevato valore simbolico e relazionale, tanto da apparire l’effetto di una sorta di conversione psichica. Potremmo chiederci dunque se non ci si trovi di fronte ad una nuova presentazione dell’isteria, in cui la conversione somatica si trasferisca in ambito psichico adattandosi al contesto socioculturale contemporaneo1. La risposta richiederebbe uno spazio interamente dedicatole e dipenderebbe innanzitutto da cosa si voglia intendere oggi per “isteria”.

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6 – Adolescente, adulto, adultomorfo

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Il corpo

Le caratteristiche fin qui descritte pongono il paziente in una condizione assolutamente peculiare. Benché, come già anticipato e ulteriormente precisato sotto, egli mantenga alcune caratteristiche tipicamente adolescenziali, il paziente non è adolescente – e non solo per sopraggiunti limiti di età.

Per quanto apparentemente banale, manca innanzitutto quel correlato biologico che segna in modo inequivocabile la trasformazione: la maturazione sessuale somatica. Il cambiamento incontrovertibile del corpo è, prima che specchio, motore stesso del cambiamento, suo riscontro, suo indelebile segno.

Nel nostro caso, invece, il corpo è uno spazio senza tempo, un luogo immobile, disabitato, non simbolizzato. Percepito per contiguità anziché in continuità, esso è uno spazio fobico in cui si agitano pulsioni ignote e non decodificabili, colto prevalentemente nelle sue potenzialità morbose e vissuto come oggetto: a volte come proprietà, altre volte, per via dell’influenza che esercita sulla vita quando si ammala, come tirannico proprietario. Nelle manifestazioni somatoformi caratteristiche dei pazienti con il panico come sintomo-chiave, il corpo da oggetto diventa addirittura solo luogo, ove il sintomo incomprensibile emerge all’improvviso e tende i proprî agguati.

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5 – La temporalità

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Il Tempo come prima chiave di lettura

Si delineano a questo punto alcuni elementi particolarmente significativi:

  • un quadro sintomatologico eterogeneo gravato da apparente comorbidità nell’ambito nevrotico, ma caratterizzato da stringenti analogie sul piano diacronico e psicopatologico;
  • un’evoluzione che riconosce un prima (apparentemente “normale”), un sintomo-chiave (a segnare una cesura), un dopo (che corrisponde ad una angosciosa fase di stato);
  • una struttura di personalità caratterizzata da elementi quali “neutralità”, difficoltà ad assumere un ruolo responsabile, “concretismo”, identità labile, relazioni disturbate, nonché un vissuto temporale caratterizzabile come “tempo fermo”.

Ognuno dei punti suddetti ha a che fare con la temporalità, che si pone dunque come chiave di lettura privilegiata.

Temporalità come “prima” e “dopo”

Nella dialettica fra “prima”, “dopo” e sintomo-chiave, la forma che assume quest’ultimo, il suo contenuto manifesto, la sua intensità, hanno valore relativo, giacché il suo senso è precipuamente nell’essere lì in mezzo. L’emersione della sintomatologia non è dunque altro che effetto di un improvviso scollamento fra le due esperienze, quella del “prima” e quella del “dopo”.

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4 – La personalità “vetero-adolescenziale”

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Descrizione della struttura “vetero-adolescenziale”

Prima di procedere, è necessario segnalare che il quadro che ho iniziato a tratteggiare trova larga risonanza con quanto già descritto da Castellana in ambito psicologico analitico, ovvero con il

consolidamento di una struttura di personalità che voglio definire, in mancanza di altri referenti, vetero-adolescenziale.1

Riporto dunque di seguito le caratteristiche di questo quadro così calzante ai nostri propositi così come espresse dall’autore2, rimandando ogni mia ulteriore interpretazione alle pagine successive.

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3 – Fenomenologia clinica

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Sintomatologia d’esordio

Come detto, la fenomenica clinica dei pazienti si presenta sulle prime piuttosto eterogenea: l’esordio è usualmente fobico-ansioso, ma può essere indifferentemente ossessivo o depressivo.

Esordio fobico-ansioso.

In questo caso – il più comune – il paziente riferisce già al primo colloquio di aver avuto uno o più “attacchi di panico”; in tale denominazione, di cui sembra avere un’idea precisa, vien fatta rientrare una gamma di sintomi ansiosi gravi che comprendono l’attacco di panico propriamente detto, l’ansia acuta, vari fenomeni d’angoscia isteriformi. La componente propriamente fobica, se presente, è di tipo agorafobico (non è mai una fobia d’oggetto, anche se possono essere marginalmente presenti piccole fobie specifiche) e genera imponenti condotte di evitamento, soprattutto nella forma di una dipendenza protettiva da figure di riferimento.

Esordio ossessivo.

In una percentuale minore di casi, l’esordio ha caratteri recisamente ossessivi, nei quali l’aspetto ossessivo predomina nettamente su quello compulsivo (che anzi può addirittura mancare); il paziente è bloccato dall’angoscia e da una potentissima ideazione di contrasto. Anche in questo caso si sviluppa una forma di dipendenza dalle figure di riferimento, più grave ancora della situazione precedente per l’incapacità di portare a termine le normali attività della vita quotidiana.

Esordio depressivo.

Altra possibilità è lo sviluppo velocemente ingravescente di una depressione insidiosa, sostanzialmente priva di elementi psicotici, caratterizzata da progressivo “raffreddamento” degli investimenti libidici, autosvalutazione, crisi di pianto, alterazioni vegetative (sonno, alimentazione etc.). Il paziente giunge all’osservazione medica quando ritenga di essere divenuto incompetente nelle proprie minime funzioni quotidiane.

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2 – Oggetto, strumento, contesto

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L’osservazione clinica

Lo spunto della ricerca prende le mosse da una serie di osservazioni cliniche condotte sulla popolazione ambulatoriale del S. S. di Igiene Mentale, nel Dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell’Età Evolutiva dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. L’utenza afferente al suddetto Servizio Speciale non rappresenta un campione statisticamente accettabile della popolazione generale né di quella usualmente afferente ai servizi territoriali per via di alcune caratteristiche intrinseche delle strutture universitarie. L’extraterritorialità e l’assenza di personale non medico fra gli operatori, ad esempio, implicano necessariamente un ricorso volontario del paziente alla struttura, operando già una prima selezione; in secondo luogo, i risultati di una ricerca interna condotta nel 2000 hanno evidenziato modalità di afferenza molto eterogenee, che sembrano generare due sotto-popolazioni distinte: una è al primo contatto, la seconda proviene invece da una lunga peregrinazione e da ripetuti insuccessi terapeutici. In sintesi, è possibile distinguere due gruppi significativi di utenti (pazienti naïf e casi particolarmente complessi), che si dispongono lungo una curva bifasica.

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