Da alcuni commenti al thread di ieri ho la sensazione che si attribuisca alla scienza una funzione magica che non le compete affatto e che appare anzi piuttosto paradossale. Si chiede alla scienza di dare sicurezza.
Ovviamente l’atteggiamento scientifico contribuisce a costruire delle sicurezze, ma sembrano saltare tutti i processi intermedi (fatti di esplorazioni, ipotesi, confronti, errori etc.).
Lo stato di sospensione, di incertezza, genera un horror vacui. E si tende a riempire questo vuoto con l’aspettativa di una risposta automatica, certa, immediata e totalizzante a una propria ansia che giunga da un “dato” ultimo, semplice, discreto. Si delega a un immaginario algoritmo (chiuso in una black box di cui non ci interessa il contenuto) il compito di dire: “fai questa cosa e non ti succederà niente”.
Questa modalità, a dire il vero, ricorda anche certi bizantinismi burocratici.
In Verità in Verità vi dico, state a un metro gli uni dagli altri e sarete salvi.
A 95 centimetri c’è la Gehenna, a 101 l’Immunità Eterna.
La scienza ha il dovere di cercare la precisione in un mondo che rimane però molto imprevedibile. Quanto più resistiamo a questo semplice dato di fatto, tanto più rischiamo di trasformare la (giusta e proporzionata) fiducia nella scienza in una fede cieca. La differenza tra fede e fiducia è quella che passa tra la ragionevole e sostenibile adozione di misure igieniche e gli isterismi di segno opposto:
- ho la mascherina = sono invulnerabile
- sei a meno di un metro da me = vuoi uccidermi
Calma e buon senso, please.