Due parole sulla tanto bistrattata (e abusata, di questi tempi) complessità.
“Tolleranza alla complessità” non significa sapere tante cose, essere molto intelligenti, aver studiato a lungo i dettagli di un sistema oscuro ai più.
Tollerare la complessità significa essere capaci di porsi di fronte a un’immagine che non siamo in grado di decifrare immediatamente e accettarne le ambiguità e le incertezze. Significa mantenere uno sguardo inquisitivo con la consapevolezza che il disegno finale potrebbe non apparire mai. Senza l’urgenza quindi di raggiungere una conclusione – una qualunque – pur di arrivare alla formulazione di un giudizio.
Insisto sempre sull’associazione fra tolleranza alla complessità ed esperienza estetica: nell’Arte, questa “evasione” del senso ultimo di un’opera è costitutiva. Un continuo rimando ad altro, che non possiamo veramente apprezzare se dobbiamo subito “chiudere” il cerchio.
La conoscenza che si cerca ed eventualmente si ottiene è più di tipo sintetico che analitico (in questo la differenza tra complesso e complicato).
Ma l’esperienza prima di chi si pone di fronte alla complessità non è “sapere”: al contrario, è proprio il “non sapere”.