Vero, falso, verosimile

27 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano
Jorge Luis Borges smiling with colorful sunglasses in the style of pop art

Racconta J. L. Borges (“L’automa letterario”) la storia di un certo Otàlora, inventore di una macchina intelligente capace di scrivere testi di narrativa:

Alcuni anni fa (ho perduto la lettera), Azevedo Bandeira mi ha voluto narrare il destino di Benjamìn Otàlora, di cui forse non resta ricordo nel quartiere di Balvanera e che morì secondo il suo stile, fucilato come torturatore e assassino.

Purtroppo, il congegno non era scevro da problemi:

Per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi erano leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze.

La fine di Otàlora non può che essere tragica:

Quella costruzione era uno scandalo, perché la confusione e la meraviglia sono operazioni proprie di Dio e non degli uomini.

Questo brano di Borges (racconto? storia vera? gli estimatori dell’autore argentino sanno quanto amasse danzare sul filo del verosimile) sembra diventato all’improvviso di grande attualità.

Tecnologie immersive e pervasive

22 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano

Usciva al cinema nel 1992 il film “Il tagliaerbe” (The Lawnmower Man), storia di uno scienziato imprudente che, attraverso un apparecchio di realtà virtuale e qualche sapiente artificio, rendeva intelligentissimo (e altrettanto pericoloso) un uomo affetto da un visibile deficit mentale. Il film era già allora, diciamolo onestamente, terribile: un minestrone che raffigurava la tecnologia in modo più esoterico che realistico allo scopo di sfruttarne l’hype in un “fanta-horror-thriller” dalla trama esilissima. Eppure ci interessa proprio per questo: per come recepiva – strizzando l’occhio alla cultura popolare di quegli anni – una tecnologia nuova e suggestiva, preconizzandone le aberrazioni.

Il destino della realtà virtuale racconta però una storia molto diversa: il visore, dopo trent’anni, è rimasto sostanzialmente lo stesso; nonostante le decine di milioni di pezzi venduti, un prodotto come Oculus (l’unico ad avere una certa diffusione) difficilmente può essere considerato di massa; le sue applicazioni, salvo poche specifiche eccezioni, sono limitate alla sfera ludica; l’impatto sulla società in termini sia tecnici che culturali è stato irrisorio.

Di recente abbiamo assistito a diversi tentativi di riproporre questo genere di tecnologia. Grazie alla miniaturizzazione dei componenti, l’aumento della capacità di calcolo e la diminuzione dei costi, Google ha potuto lanciare nel 2013 i Google Glass; il successo commerciale del prodotto – ritirato nel 2016 – è ben rappresentato dal soprannome che si è immediatamente guadagnato chi lo indossava (“glasshole”). Apple starebbe lavorando da anni a un dispositivo analogo, con caratteristiche miste AR/VR, la cui data di lancio viene ripetutamente prevista e quindi posposta dagli analisti; il nuovo dispositivo avrebbe un sistema operativo proprio e potrebbe – secondo indiscrezioni – un giorno sostituire l’iPhone (ma non si disse lo stesso di Siri?). Chi si sta tuffando a capofitto nel “metaverso” in una ingloriosa e costosissima operazione di marketing cosmetico è Facebook, tanto da aver cambiato il proprio nome ormai inviso a molti in Meta. Nel frattempo abbiamo assistito al lancio in pompa magna dei cinema (e a seguire persino dei televisori) in 3D – e al loro subitaneo, precipitoso declino.

Paradigmi

15 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano
Anne Francis e Robbie The Robot, foto per “Forbidden Planet”, 1956

“Is the Internet changing the way you think?”

Questa domanda è stata posta nel 2010 ai membri della Edge Foundation, che raccoglie scienziati, filosofi, artisti, manager, giornalisti e altre personalità appartenenti agli ambiti più disparati (tra gli altri – per dare un’idea – Albert-László Barabási, Douglas Coupland, Mihaly Csikszentmihalyi, Richard Dawkins, Brian Eno, Howard Gardner, Marissa Mayer, Tim O’Reilly, Larry Sanger, Nassim Taleb e Ai Weiwei).

Le risposte, come prevedibile, si dispiegano lungo tutta la gamma compresa tra l’entusiasmo e la preoccupazione. È lo stesso anno in cui, del resto, escono da una parte “Cognitive surplus: Creativity and generosity in a connected age” di Clay Shirky e dall’altra “The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains” di Nicholas G. Carr (non a caso sono loro le prime due risposte inserite nel volume).

Presentate con un taglio ottimista o pessimista, le riflessioni vertono però tutte più o meno sugli stessi argomenti:

  • il numero di informazioni disponibili, cresciuto esponenzialmente
  • il cambiamento delle abitudini collegate al reperimento di queste ultime
  • le connessioni sociali, moltiplicate per quantità e per velocità di interazione
  • la soglia di attenzione, modificata dal bombardamento di nuovi stimoli
  • le tecnologie che presto o tardi diventeranno obsolete e le possibilità introdotte da quelle che le sostituiranno

Vecchio e nuovo

8 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano
Frances Benjamin Johnston, Autoritratto, ca. 1896. L’autrice si ritrae facendo le tre cose che una donna vittoriana non dovrebbe mai fare: bere birra, fumare, mostrare la sottoveste.

In una conferenza di una quindicina d’anni fa a Roma, Tommaso Labranca osservava con un pizzico di provocazione come dagli Anni Novanta in poi (almeno sul piano della moda, del costume e della cultura popolare) non fosse cambiato più nulla. Le minigonne, la televisione in bianco e nero, i vitelloni di via Veneto degli Anni Sessanta; i pantaloni a zampa d’elefante, le montature spesse degli occhiali, i parka e le contestazioni dei Settanta; le spalline imbottite e i capelli cotonati, la musica disimpegnata, l’“edonismo reaganiano” e la TV commerciale degli Ottanta: hanno tutti lasciato il posto gli uni agli altri e poi, nei decenni successivi, a una progressiva – se accarezzata da uno sguardo fugace – omogenizzazione visuale.

In assenza di contesto, un film “blockbuster” girato ieri potrebbe essere indistinguibile da uno di dieci o venti anni fa: pressoché immutate le scelte fotografiche e di regia; consolidate le strutture narrative in schemi ripetitivi ma di sperimentato appeal; effetti speciali il cui perfezionamento è percepibile solo nei più minuti dettagli; persino gli attori – complici il trend salutista e qualche più o meno fortunato ritocchino – sembrano aver smesso di invecchiare.

Sembrerebbe che negli ultimi trent’anni non sia successo effettivamente nulla di particolarmente rilevante, almeno sul piano culturale. Eppure, al contrario, proprio questi ultimi sono stati i decenni in cui alcune tecnologie sono esplose o hanno subito accelerazioni esponenziali.

Nuova newsletter: Asterione su Substack

5 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano

Ciò che segue è il contenuto della la prima mail della newsletter che ho appena aperto su Substack. Si chiama Asterione, come si chiamava il gruppo che ho fondato nel 2002 e cui si ispira nell’auspicio, prima o poi, di rifondarlo. Gli articoli verranno pubblicati direttamente nella newsletter (accessibile via sottoscrizione gratuita e dal sito di Substack) e alcuni di essi saranno riportati anche su queste pagine.


“A man seen from behind walking in a labyrinth with many corridors, oil paint, beautiful lighting, intricate environment, detailed and intricate by Caspar David Friedrich” (creato con Stable Diffusion)

Gentile lettore/lettrice,

questa è la seconda volta che uso il nome “Asterione”. La prima fu per un gruppo interdisciplinare (2002-2010) che raccoglieva persone provenienti dal mondo della psichiatria, della psicologia analitica, della pedagogia e della filosofia, che progressivamente si è sciolto in un’altra associazione di cui faccio parte (BombaCarta).

Ho sempre considerato l’incrocio fra diverse discipline un luogo più interessante rispetto al centro di quelle stesse discipline prese singolarmente. Quello che certo oggi non manca è la specializzazione: manca, invece, drammaticamente la capacità delle discipline di confrontarsi fra loro, di incontrarsi in un dialogo che renda le rispettive competenze fragili e pretenda da loro che si facciano umili (qualità che, invero, una onesta attività di ricerca dovrebbe sempre richiedere).

La pandemia ha messo poi oggi in particolare evidenza la frizione fra le “due culture” (le si voglia chiamare scienze “dure” – come va di moda oggi – e umane, Scienze della Natura e dello Spirito con Dilthey o, alla maniera di C. P. Snow, la cultura dei “natural scientists” e quella dei “literary intellectuals”).

Ne emerge un mondo che conosciamo sempre meglio ma che forse capiamo sempre meno.

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