Vita nella (e dalla) stagnazione

25 Maggio 2020Articoli, 🇮🇹 Italiano

La quarantena ci ha esposto a un’esperienza inusuale, difficile da definire, in cui i concetti di normalità e di anormalità si confondono improvvisamente. Degli ultimi due mesi ciascuno ha probabilmente un ricordo diverso: per alcuni — lavoratori “essenziali” — sono state giornate intense e stressanti; per altri, di malattia o di lutto; la maggior parte del Paese ha vissuto però in una condizione di sospensione, di attesa, per certi versi di reclusione, dai tratti surreali.

Mentre strade e piazze riprendono ad animarsi per l’auspicata “ripartenza”, può rivelarsi salutare rielaborare l’esperienza di questa forzata e necessaria reclusione domestica da tutti accettata nella speranza di mettersi al riparo da una tempesta invisibile la cui forza era rappresentata solo da grafici, elenchi, bollettini: comunicazioni fredde di un pericolo — per chi non l’abbia affrontato in prima persona — astratto e impalpabile.

Il “dentro casa”, spazio tradizionalmente destinato al riposo e alla famiglia, si è trasformato in luogo totale, esclusivo, scompaginando i nostri equilibri con l’esterno ma soprattutto con l’interno. Molti di noi, soprattutto i più “estroversi” (giacché per gli “introversi” la quarantena è stata una condizione quasi di grazia), si sono trovati inaspettatamente a confronto con una dimensione immobile, bloccata, con un panorama che da amichevole diventa inaspettatamente ostile.

Questa condizione è definibile solo “per sottrazione”, in virtĂą di ciò che manca, della libertĂ  persa, della disponibilitĂ  perduta. Esaurito il brivido del telelavoro in pantaloni corti o di spericolati esercizi di panificazione casalinga, si fa via via largo la noia. E se giĂ  non fosse abbastanza fastidioso questo sentimento, occorre anche subire consigli (e rimproveri) sulla mancata capacitĂ  di stare con se stessi, di approfittare per migliorare la propria cultura, di trovarsi degli hobbies. In buona sostanza di fare qualcosa e non rompere troppo le scatole. (altro…)

Le potenzialitĂ  della caduta

20 Febbraio 2010🇮🇹 Italiano

Durante le riprese di un film (siamo negli anni Venti) lo stuntman Ray cade e si rompe la schiena: non sa se potrà camminare di nuovo, ma il suo vero cruccio è che la fidanzata gli ha preferito l’attore protagonista. Alexandria, una bambina immigrata con un braccio fratturato, è ricoverata nello stesso ospedale e, cercando di recuperare un biglietto destinato ad un’infermiera e scivolato invece nella stanza di Roy grazie ad un colpo di vento, incontra il suo malinconico compagno di degenza.

Inizia così “The Fall”, film di Tarsem Singh, durante il quale Roy ed Alexandria costruiscono insieme una storia a puntate che dalle parole di Roy prende forma nelle vivide, suggestive immagini create dalla fantasia della bambina. Ma per ogni puntata Roy chiede in pegno che Alexandria rubi per lui della morfina: Roy vuol farla finita perchĂ© la sua vita di stuntman e di uomo è arrivata al termine.

Si cade e si ricade, in questo film: giĂ  caduti nel corpo i due protagonisti prima che lo stesso film abbia inizio (almeno un’altra seguirĂ ), ma caduto Roy soprattutto nello spirito: non percepisce piĂą i piedi, ma nemmeno percepisce un motivo per continuare a vivere. Il mondo di Roy è coartato in una striscia sottile in cui c’è spazio solo per un lucido, pervicace desiderio di morte. Null’altro ha piĂą senso, eppure tutto è chiaro: cosa fare, come farlo. Poco sembra importare che, pur in questa striscia sottile, l’immaginazione dei due protagonisti si dilati in storie epiche e fantastiche (che il regista rappresenta con spettacolare capacitĂ  visionaria).

Roy rappresenta in questo discorso il protagonista caduto che non può far altro se non cantare la propria caduta, un personaggio che frequentemente incontriamo in arte (e nella vita), cui voglio affiancare un secondo paradigma.

Quando si parla di fallimento, è difficile non fare riferimento al discorso tenuto nel 2005 da un uomo di grande successo, quello Steve Jobs prima semisconosciuto al grande pubblico ed ora ricordato in continuazione come il salvatore della Apple, il creatore della Pixar di Toy Story e la mente e la mano dietro l’iPod e l’iPhone. Jobs, fondatore della stessa Apple insieme a Steve Wozniak nel 1977, viene licenziato dalla sua stessa azienda poco dopo il lancio del suo prodotto più famoso, il Macintosh (creatura peraltro dello stesso Jobs). Geniale ma umorale, raggiunta la vetta Jobs rotola a valle e si ritrova privato di quello che aveva coinciso con il senso della propria vita per oltre i dieci anni precedenti.

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