Elementi isterici
La psicopatologia di questi pazienti – come detto – è piuttosto eterogenea, essendo contemporaneamente presenti sia tratti isterici (sia nel senso dell’isteria propriamente detta che sotto forma di isteria d’angoscia) che ossessivi.
Caratteristicamente isterico è il rapporto fortemente impressionistico con il passato, con la memoria e con la ricostruzione degli eventi, nonché il fatto che il paziente focalizzi la relazione in base all’evitamento delle possibilità di abbandono e alla risposta alle aspettative.
La sessualità è in tutti i casi coartata, l’identità sessuale è labile; non è presente desiderio per l’atto in sé, vissuto in via subordinata ad altri aspetti della vita psichica (gratificazione, identificazione, mantenimento del legame, adesione al ruolo etc.).
Il sintomo – al di là della sua manifestazione – si accresce di un elevato valore simbolico e relazionale, tanto da apparire l’effetto di una sorta di conversione psichica. Potremmo chiederci dunque se non ci si trovi di fronte ad una nuova presentazione dell’isteria, in cui la conversione somatica si trasferisca in ambito psichico adattandosi al contesto socioculturale contemporaneo1. La risposta richiederebbe uno spazio interamente dedicatole e dipenderebbe innanzitutto da cosa si voglia intendere oggi per “isteria”.
L’aggettivo “isterico” può difatti riferirsi ad una personalità e quindi indicare tratti; oppure ad una nevrosi e indicare sintomi; o infine alla psicosi ed indicare così un grave fenomeno dissociativo a carico preminentemente della coscienza. Può essere identificata a partire da un disturbo relazionale se ne vengano sottolineati tratti di dipendenza, o come un disturbo dell’identità sessuale (Freud ne fece un criterio quasi patognomonico), o ancora in base alla presenza della suggestionabilità (che invece era patognomonica per Babinski2), tutti elementi fra loro eterogenei ed appartenenti ad ambiti distinti (relazionale, dinamico, cognitivo-personologico, etc.). Il DSM ci toglie d’impaccio, eliminandone quasi del tutto la denominazione dalle proprie pagine.
Nel nostro caso, per quanto esistano elementi strettamente riconducibili alla sfera isterica, ne mancano però alcuni altri indispensabili per formulare una diagnosi univoca. La presenza di sfumature di altro segno (innanzitutto ossessive, come spiegato sotto) trascende ad esempio la semplice comorbidità e rende il quadro più complesso. Inoltre, i pazienti sono capaci di sviluppare relazioni più mature rispetto a quanto accadrebbe con personalità semplicemente isteriche o istrioniche.
Elementi ossessivi
L’ossessività dei pazienti si esprime invece nella relazione con il futuro, nella programmazione, nel rapporto con le cose e con l’ordine, nel perfezionismo, nel ricorso all’ideazione e al pensiero per sedare l’ansia cosciente.
È presente un ipertrofico senso di responsabilità, effetto delle proprie rigide istanze superegoiche. In tutti i casi è precipuo il problema del “controllo” (del corpo, delle relazioni, dello spazio etc.). La comparsa stessa del sintomo viene vissuta come terrifica proprio perché procura inaspettatamente e per la prima volta l’esperienza della perdita di controllo nei confronti della propria mente e del proprio corpo.
Il pensiero è lo strumento onnipotente di comprensione del mondo e di sé; il paziente nega di sé ciò che non possa essere “pensato” ed attraverso il “pensiero di sé” conosce e organizza se stesso. La stessa vita emotiva viene esperita attraverso la mediazione della razionalità. L’evenienza dei propri sentimenti viene analizzata, ne viene valutata l’opportunità e censurata, se necessario, l’espressione.
Del disturbo ossessivo-compulsivo propriamente detto mancano invece la componente compulsiva, l’ambivalenza e tutti gli aspetti direttamente legati alla sessualità che, come detto, ha sfumature più isteriche.
Identità fra isteria e ossessività
La commistione fra tratti isterici ed ossessivi non sembra nel nostro caso riducibile ad un semplice fenomeno di comorbidità, apparendo bensì giustificata su un piano più profondo.
Eppure, le due entità morbose hanno sempre seguito percorsi contrapposti. Il loro destino nosografico sembra addirittura segnato da una sorta di nemesi: i disturbi ossessivi – male della precisione e del perfezionismo, della separazione e della nitidezza – hanno occupato un ruolo stabile e ben delineato nella nosografia di tutto il Novecento. L’isteria – mutevole, sfuggente, mimetica come i suoi sintomi – è stata invece sottoposta a innumerevoli scomposizioni e ricollocazioni nosografiche; affrontata negli ultimi vent’anni solo sul piano della fenomenica, essa è stata smembrata in tutte le sue possibili “forme”, procedendo di scomposizione in scomposizione fino a lasciarci a mani vuote. Ciò non toglie che sulla relazione tra isteria (qualunque cosa sia) e ossessività ci sia sempre stato un consenso piuttosto largo, che trova nelle parole di G. O. Gabbard una sintesi eloquente3:
In contrasto con lo stile cognitivo del paziente isterico4, quello del paziente ossessivo-compulsivo implica una estrema attenzione al dettaglio ma una quasi completa mancanza di spontaneità o di flessibilità, mentre le vaghezze impressionistiche vengono liquidate automaticamente come “illogiche”.
Ecco sancita l’incommensurabilità fra i due “stili”: differenti le origini nella dinamica, differente la fenomenica (a dispetto di una mutevolezza isterica che tutto potrebbe mimare), differente il paziente nel suo funzionamento cognitivo.
Due facce della stessa medaglia.
Da quanto detto finora risulta invece evidente come gli stili cognitivi si mescolino fra loro assumendo modalità impressionistiche su alcuni piani e ossessive su altri. Proprio l’ordinata disposizione su piani distinti lascia pensare che le due modalità siano, anziché contraddittorie, addirittura collaborative; in particolare, esse sembrano difendere l’Io in base ad un comune presupposto.
Assumiamo come ipotesi di lavoro che l’Io possieda due differenti modalità esistentive (passibili, a loro volta, di essere aggredite e di organizzarsi in una difesa ugualmente duplice):
- Quella di sapere di esistere e di sentirsi reale;
- Quella di non avere vergogna di sé e di sentirsi valido e degno soggetto di relazione.
Al primo piano attiene il rapporto dell’Io con la realtà materiale, quella delle cose e dell’ambiente fisico. Nell’estroversione, l’Io regola attraverso la razionalità il rapporto con le cose e – dalla stabilità e costanza di questo rapporto – desume le proprie caratteristiche e si identifica. Nel rapporto con le cose l’Io conosce formalmente se stesso e, conoscendosi, ha la conferma di essere reale. Nell’introversione, questo piano operativo sfrutta come strumento il pensiero. L’Io si ancora alla realtà con il pensiero razionale, al fine di evitare la derealizzazione. Questo livello si occupa in sintesi dello spazio (soprattutto dello spazio geometrico), del futuro (e della programmazione), degli oggetti (anche della loro forma e posizione). Un insulto a questo livello verrà bilanciato da un’ipertrofia del pensiero e da una sintomatologia ossessiva.
L’altro è il piano della relazione: l’ambiente non è quello fisico ma è quello dello spazio antropologico e del tempo vissuto; in questo ambito predomina l’atteggiamento emotivo-affettivo e l’Io non non si intenziona alla realtà ma ai significati. La relazione intersoggettiva, colta nell’estroversione, permette all’Io di desumere la propria validità. Nel fallimento di queste operazioni si ottiene lo svuotamento di senso, la depressione anaclitica, la vergogna, e ad essi si risponde con modalità isteriformi che mantengano la validità nella relazione. Questo livello ha a che fare quindi col tempo (e lo spazio vissuto), col passato (e la memoria), con l’alterità (e l’orizzonte di senso).
Secondo questa interpretazione, i due sistemi tenderanno quindi a cooperare più che ad ostacolarsi. Nel nostro caso il comparto razionale ossessivo viene dirottato a compensare il meno solido sistema emotivo-validativo. Lo stile ossessivo produce un “buon funzionamento” che, vantaggioso ed efficace, viene esteso agli altri ambiti ed utilizzato anche nel controllo emotivo e nella relazione interpersonale, in un continuo tentativo di “messa a punto” per essere all’altezza.
Identità, identità sessuale, identità di genere
Non approfondirò qui ulteriormente il problema dell’identità, concetto la cui sola definizione non può darsi per scontata. La componente “isterica” del disturbo lascia intravedere possibili interpretazioni sessuali: esse sono ad un tempo esatte e fuorvianti. Non v’è dubbio che la sessualità costituisca un problema (di cui darò ragione più avanti); un labile senso di identità tout court, un rapporto conflittuale con il corpo proprio e dell’altro, una espressività sessuale ridotta e a tratti sfuggente smebrano puntare ciascuno ad un diverso livello del continuum identità-identità sessuale-identità di genere. Credo di poter ragionevolmente sostenere che ubi major minor cessat, ovvero che il terzo livello possa essere ricondotto al secondo (e ciò appare abbastanza verosimile), così come il secondo possa conseguire ad un disturbo del primo; questa seconda affermazione è in realtà meno scontata.
Coscienza e coscienza dell’Io
Una seconda precisazione riguarda il problema della coscienza. Ho scritto sopra: perché si costituisca un’identità occorre che il soggetto esperisca se stesso sempre uguale a se stesso nel tempo e medesimo soggetto di esperienza. In ciò e in altre parti, ho implicitamente attribuito al senso di identità alcune caratteristiche costitutive della coscienza dell’Io; benché esse non coincidano, effettivamente l’una non è possibile senza l’altra.
Nei nostri pazienti, possiamo ravvisare un turbamento della coscienza dell’Io a due livelli.
- Durante l’esordio sono frequenti esperienze di derealizzazione (indifferentemente auto-, allo- o somatopsichiche), di intensità anche piuttosto elevata. Tali gravi manifestazioni tendono a scomparire con la remissione, rimanendo nelle forme consuete solo nei pazienti con attacchi di panico.
- Le caratteristiche intrinseche della coscienza dell’Io, ovvero l’Unità, l’Attività, l’Identità e la Contrapposizione al mondo esterno, sono permanentemente labili pur non producendo nei fatti una franca sintomatologia: la loro labilità si manifesta invece in modo indiretto ovvero nell’incapacità del paziente di eseguire queste operazioni in una sintesi complessiva di sé, trascendendo quindi l’attività “istantanea” della stessa coscienza dell’Io (ad esempio, nel non riconoscere continuità fra le diverse parti della propria storia o nel non riconoscersi effettivamente padrone della propria vita).
Posso inoltre sinteticamente aggiungere che nel nostro caso non si manifestano disturbi evidenti della coscienza (salvo quelli – transitorî – concomitanti ai disturbi della coscienza dell’Io). Questa affermazione, in realtà, esclude semplicemente gravi stati dissociativi e alterazioni della vigilanza, senza dire null’altro. Un’indagine più accurata sullo stato di coscienza di questi pazienti sarebbe invece di grande interesse, ma esula dalle capacità di questa indagine al momento presente.
La diagnosi
In conclusione, escludiamo quindi per ovvie ragioni che si tratti di pazienti adolescenti; escludiamo altresì che siano, per quanto appena detto, isterici “puri” o ossessivi “puri”, cionondimeno la semplice comorbidità non risulta sufficientemente credibile. Non possiamo nemmeno ritenere adeguata la diagnosi di disturbo di personalità tout court – pur apparentemente congelato nella stessa ricorrente dinamica e per quanto radicati nella sua personalità siano i tratti sopra descritti, sono presenti due elementi, loro sì, costitutivamente evolutivi:
- l’esordio e la trasformazione che esso produce nei fatti;
- la “situazione di blocco”, ovvero l’esser congelati in una determinata condizione che perturba una dinamica evolutiva sino a congelarla in uno “stato altro” e si configura dunque non come conseguenza a posteriori di una evoluzione fallita, ma come disturbo essenziale della evoluzione.
Tutto ciò, in base anche a quanto detto nelle prime pagine, qualifica questo disturbo come un paradossale disturbo dello sviluppo in età adulta, anche in virtù della sua continuità cronologica ed etiopatogenetica con le fasi dello sviluppo.