Le indagini sulle chat antivacciniste che istigavano a delinquere o addirittura a compiere gesti piuttosto aberranti, mi stanno facendo pensare a come lo spazio virtuale stia trasformando in modo rilevante il nostro rapporto con il reale.

Prima del Web 3.0, lo spazio del discorso era la piazza pubblica (semplifico): quella mediatica, ma in termini piuttosto unidirezionali (programma → spettatore) e quella reale, dai confini però ristretti (chiamiamole “le chiacchiere da bar”). L’accoppiata virtuale-social ha reso il “bar” un luogo molto popolato ma anche non “agito”. L’unico agito è il linguaggio, che per avere un impatto su un ascoltatore sempre più desensibilizzato deve alzare ogni volta l’asticella.

In questo spazio in cui esiste solo la parola senza conseguenza, senza responsabilità, ovviamente non solo i toni ma anche i programmi, le presunte intenzioni, gli epiteti, gli allarmi, si amplificano fino a quando incontrano un limite. E l’unico limite è il linguaggio stesso. Un limite abbastanza ampio.

La virulenza che si innesca in questi circuiti raramente corrisponde alla disposizione che i partecipanti avrebbero – per indole – nel mondo reale. Qui però si crea il primo corto circuito: si innesca una spirale di suggestione, di allarme, di adrenalina, che diventa capace di incidere anche nei comportamenti “reali”, con un aumento spropositato di aggressività e frustrazione.

Un secondo e più insidioso corto circuito è che non si coglie che nel passaggio dal virtuale deresponsabilizzato al reale – in cui alla parola è sostituito l’atto – l’atto ha conseguenze pratiche.

C’è un continuum fra:

  1. scrivere “devono morire tutti”
  2. manifestare con uno striscione violento
  3. uscire con una pistola
  4. sparare

Anche se nella maggior parte dei casi ci si ferma al punto 1, è come se non venisse percepito il fatto che le fasi sono distinte. Ci si aspetta la medesima punibilità per tutte (la minima) e un ostacolo a una qualunque delle tre diventa una limitazione oppressiva della libertà (massima).

Si crea così una sorta di “crimine ingenuo” – e qui mi viene in mente l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio.

In queste situazioni, il confine tra sconfinamento irresponsabile dai limiti della legge (penso anche al goffo carro armato di piazza San Marco di tanti anni fa) e terrorismo/sovversione è labile e spesso determinato ex post.

Fra tutti i manifestanti aizzati da Trump, ce n’erano pochissimi (ma qualcuno c’era) che avrebbero veramente impiccato Pence se lo avessero preso – e oggi valuteremmo quell’evento in modo diverso se ci fossero riusciti.

Insomma, siamo su un crinale molto scivoloso.

P. S. – I media forse potrebbero smettere di gettare benzina sul fuoco e investigare questi fenomeni. Soprattutto i media che si danno tante arie “investigative”.


Foto di Leonard Bentley, licenza CC by-sa 2.0

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