Paradigmi

15 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano
Anne Francis e Robbie The Robot, foto per “Forbidden Planet”, 1956

“Is the Internet changing the way you think?”

Questa domanda è stata posta nel 2010 ai membri della Edge Foundation, che raccoglie scienziati, filosofi, artisti, manager, giornalisti e altre personalità appartenenti agli ambiti più disparati (tra gli altri – per dare un’idea – Albert-László Barabási, Douglas Coupland, Mihaly Csikszentmihalyi, Richard Dawkins, Brian Eno, Howard Gardner, Marissa Mayer, Tim O’Reilly, Larry Sanger, Nassim Taleb e Ai Weiwei).

Le risposte, come prevedibile, si dispiegano lungo tutta la gamma compresa tra l’entusiasmo e la preoccupazione. È lo stesso anno in cui, del resto, escono da una parte “Cognitive surplus: Creativity and generosity in a connected age” di Clay Shirky e dall’altra “The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains” di Nicholas G. Carr (non a caso sono loro le prime due risposte inserite nel volume).

Presentate con un taglio ottimista o pessimista, le riflessioni vertono però tutte più o meno sugli stessi argomenti:

  • il numero di informazioni disponibili, cresciuto esponenzialmente
  • il cambiamento delle abitudini collegate al reperimento di queste ultime
  • le connessioni sociali, moltiplicate per quantità e per velocità di interazione
  • la soglia di attenzione, modificata dal bombardamento di nuovi stimoli
  • le tecnologie che presto o tardi diventeranno obsolete e le possibilità introdotte da quelle che le sostituiranno

Vecchio e nuovo

8 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano
Frances Benjamin Johnston, Autoritratto, ca. 1896. L’autrice si ritrae facendo le tre cose che una donna vittoriana non dovrebbe mai fare: bere birra, fumare, mostrare la sottoveste.

In una conferenza di una quindicina d’anni fa a Roma, Tommaso Labranca osservava con un pizzico di provocazione come dagli Anni Novanta in poi (almeno sul piano della moda, del costume e della cultura popolare) non fosse cambiato più nulla. Le minigonne, la televisione in bianco e nero, i vitelloni di via Veneto degli Anni Sessanta; i pantaloni a zampa d’elefante, le montature spesse degli occhiali, i parka e le contestazioni dei Settanta; le spalline imbottite e i capelli cotonati, la musica disimpegnata, l’“edonismo reaganiano” e la TV commerciale degli Ottanta: hanno tutti lasciato il posto gli uni agli altri e poi, nei decenni successivi, a una progressiva – se accarezzata da uno sguardo fugace – omogenizzazione visuale.

In assenza di contesto, un film “blockbuster” girato ieri potrebbe essere indistinguibile da uno di dieci o venti anni fa: pressoché immutate le scelte fotografiche e di regia; consolidate le strutture narrative in schemi ripetitivi ma di sperimentato appeal; effetti speciali il cui perfezionamento è percepibile solo nei più minuti dettagli; persino gli attori – complici il trend salutista e qualche più o meno fortunato ritocchino – sembrano aver smesso di invecchiare.

Sembrerebbe che negli ultimi trent’anni non sia successo effettivamente nulla di particolarmente rilevante, almeno sul piano culturale. Eppure, al contrario, proprio questi ultimi sono stati i decenni in cui alcune tecnologie sono esplose o hanno subito accelerazioni esponenziali.

Nuova newsletter: Asterione su Substack

5 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano

Ciò che segue è il contenuto della la prima mail della newsletter che ho appena aperto su Substack. Si chiama Asterione, come si chiamava il gruppo che ho fondato nel 2002 e cui si ispira nell’auspicio, prima o poi, di rifondarlo. Gli articoli verranno pubblicati direttamente nella newsletter (accessibile via sottoscrizione gratuita e dal sito di Substack) e alcuni di essi saranno riportati anche su queste pagine.


“A man seen from behind walking in a labyrinth with many corridors, oil paint, beautiful lighting, intricate environment, detailed and intricate by Caspar David Friedrich” (creato con Stable Diffusion)

Gentile lettore/lettrice,

questa è la seconda volta che uso il nome “Asterione”. La prima fu per un gruppo interdisciplinare (2002-2010) che raccoglieva persone provenienti dal mondo della psichiatria, della psicologia analitica, della pedagogia e della filosofia, che progressivamente si è sciolto in un’altra associazione di cui faccio parte (BombaCarta).

Ho sempre considerato l’incrocio fra diverse discipline un luogo più interessante rispetto al centro di quelle stesse discipline prese singolarmente. Quello che certo oggi non manca è la specializzazione: manca, invece, drammaticamente la capacità delle discipline di confrontarsi fra loro, di incontrarsi in un dialogo che renda le rispettive competenze fragili e pretenda da loro che si facciano umili (qualità che, invero, una onesta attività di ricerca dovrebbe sempre richiedere).

La pandemia ha messo poi oggi in particolare evidenza la frizione fra le “due culture” (le si voglia chiamare scienze “dure” – come va di moda oggi – e umane, Scienze della Natura e dello Spirito con Dilthey o, alla maniera di C. P. Snow, la cultura dei “natural scientists” e quella dei “literary intellectuals”).

Ne emerge un mondo che conosciamo sempre meglio ma che forse capiamo sempre meno.

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Precisazioni su nevrosi e responsabilità

29 Giugno 2022Video, 🇮🇹 Italiano

Un video “fuori programma” per rispondere a una discussione nata su Twitter: può una persona affetta da un grave disturbo nevrotico ricoprire incarichi di responsabilità?

Cosa vuol dire veramente essere “sani” o “nevrotici”?

Verità e fotografia: Joel Sternfeld

2 Maggio 2022Fotografia, Video, 🇮🇹 Italiano

Ho realizzato un breve video sul rapporto tra “Verità” e immagine (fotografica, ma non solo). L’idea sarebbe quella di ricostruire un discorso intorno a certi argomenti che mi sono cari e che sono all’incrocio tra psichiatria, immagini, tecnologia ed esperienza artistica.

Tra il 2002 e il 2010 avevo fondato un gruppo (Asterione) che si occupava di questo genere di cose e che è diventato progressivamente una sorta di braccio “scientifico” di BombaCarta. Sul canale trovate anche due video di allora (siamo stati pionieri…).

Non so se riuscirò a ricostruire il gruppo, né dove la cosa andrà a parare, ma intanto si inizia e vediamo che succede…

Complessità

27 Marzo 2022Twitter threads, 🇮🇹 Italiano

Due parole sulla tanto bistrattata (e abusata, di questi tempi) complessità.

“Tolleranza alla complessità” non significa sapere tante cose, essere molto intelligenti, aver studiato a lungo i dettagli di un sistema oscuro ai più.

Tollerare la complessità significa essere capaci di porsi di fronte a un’immagine che non siamo in grado di decifrare immediatamente e accettarne le ambiguità e le incertezze. Significa mantenere uno sguardo inquisitivo con la consapevolezza che il disegno finale potrebbe non apparire mai. Senza l’urgenza quindi di raggiungere una conclusione – una qualunque – pur di arrivare alla formulazione di un giudizio.

Insisto sempre sull’associazione fra tolleranza alla complessità ed esperienza estetica: nell’Arte, questa “evasione” del senso ultimo di un’opera è costitutiva. Un continuo rimando ad altro, che non possiamo veramente apprezzare se dobbiamo subito “chiudere” il cerchio.

La conoscenza che si cerca ed eventualmente si ottiene è più di tipo sintetico che analitico (in questo la differenza tra complesso e complicato).

Ma l’esperienza prima di chi si pone di fronte alla complessità non è “sapere”: al contrario, è proprio il “non sapere”.

Thread originale

L’odio per la vittima

18 Marzo 2022Twitter threads, 🇮🇹 Italiano

Come mai di fronte a un abuso plateale, netto, privo di sfumature, c’è da parte di alcuni una corsa ai distinguo, se non un vero e proprio fiancheggiamento dell’aggressore? La risposta è piuttosto articolata per cui cercherò di schematizzare molto.

La condizione esistenziale della “vittima” è quella di non avere il potere di venire a patti. È una condizione psicologicamente angosciante ben oltre gli effetti concreti dell’abuso perché ci mette di fronte alla possibilità dell’impotenza.

L’impotenza non ci piace. Sono lontani i tempo dell’Anànche greca, la necessità frutto del capriccio degli dei cui non possiamo che sottometterci. L’uomo moderno ha asserito il proprio trionfo sulla Natura con la tecnica e sull’Altro con vari strumenti fra cui la retorica.

Il che ci rende potenti/responsabili degli eventi della Natura e dei rapporti con l’Altro: ma questo altro è sempre un Alius, un alieno, o un bàrbaros, al massimo uno Xènos, uno straniero – non ci è mai veramente simile, non è uno dei “nostri”.

E l’accento si sposta facilmente dalla responsabilità per posarsi esclusivamente sul potere. La responsabilità prevede anche dei doveri ed è molto più comodo lasciare ad altri queste incombenze. Altri saranno, quindi, i colpevoli. Anche quando diciamo “siamo tutti colpevoli” in realtà stiamo pensando agli altri: noi non ci mettiamo veramente nel mucchio (altrimenti diremmo: “io sono colpevole”).

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Storia di una foto: Peperone n. 30 di E. Weston

6 Febbraio 2022Fotografia, Twitter threads, 🇮🇹 Italiano
Edward Weston, “Pepper no. 30”

Nel 1930 Weston ha abbandonato da tempo il ritratto pittorialistico degli esordi ha lasciato moglie e figli, fatto viaggi, avuto amanti. Le amanti in particolare sono ben più che muse e modelle: Margarethe Mather, Tina Modotti (con cui vive a lungo in Messico), Charis Wilson (che poi sposerà), Sonya Noskowiak…

Ebbe un numero sbalorditivo di fidanzate, tutte belle e tutte più che felici di spogliarsi per lui. Fu uno di quegli uomini che, come si suol dire, vide più sederi di una tavoletta del water. L’espressione è particolarmente calzante visto che quanto meno dal punto di vista fotografico, vide anche un bel numero di gabinetti

—G. Dyer, “L’infinto istante”

Dopo aver esplorato negli anni ’20 forme, ombre, nudi e architetture, in Messico nel 1925 impiega una settimana per ottenere lo scatto perfetto proprio di un gabinetto.

Quando alla fine ottenne la stampa che desiderava, la portò a Diego Rivera che, secondo Weston, esclamò: “Non ho mai visto una foto tanto bella in vita mia”

Il suo scopo era ritrarre la toilette in un modo da rimuovere ogni connotazione di senso – umoristica, scatologica, oscena o altro ancora – per trasmettere una “risposta estetica assoluta alla forma”.

—T. Pitts, “Edward Weston”

La forma, il modo in cui la luce la definisce e la perfezione della tecnica che la cattura – che sia quella di un corpo nudo, di un oggetto comune o di un ortaggio – diventano tema portante della sua poetica.

Weston concepisce la sua opera in termini di piena adesione alla realtà, una realtà sfrondata di ogni possibile carattere narrativo in assenza di qualsiasi attributo che non sia riferibile alla forma stessa.

—W. Guadagnini, “Una storia della fotografia del XX e XXI secolo”

Sul Peperone n. 30 c’è anche un piccolo mistero. È riportato che Weston abbia scattato con un tempo di 6 minuti, ma il figlio, in un’intervista, racconta una storia più interessante (che è probabilmente quella vera). Lavorando col grande formato e a distanza ravvicinata c’è un problema di profondità di campo. Per mettere a fuoco l’intero peperone Weston crea un obiettivo con f/240, praticamente un pinhole. Il tempo di esposizione è di “4-6 ore”, in luce naturale. In tutto quel tempo, il sole si muove e la luce cambia, creando un sottile effetto di lightpainting.

Weston ha fotografato anche altri peperoni, e questi non sono stati i suoi unici furti dalla cucina. Ma il n. 30 rappresenta forse, nel suo perfetto equilibrio tra forma, luce, oggetto e contesto, l’apice della sua ricerca.

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