Tecnologie immersive e pervasive

22 Gennaio 2023Asterione, 🇮🇹 Italiano

Usciva al cinema nel 1992 il film “Il tagliaerbe” (The Lawnmower Man), storia di uno scienziato imprudente che, attraverso un apparecchio di realtà virtuale e qualche sapiente artificio, rendeva intelligentissimo (e altrettanto pericoloso) un uomo affetto da un visibile deficit mentale. Il film era già allora, diciamolo onestamente, terribile: un minestrone che raffigurava la tecnologia in modo più esoterico che realistico allo scopo di sfruttarne l’hype in un “fanta-horror-thriller” dalla trama esilissima. Eppure ci interessa proprio per questo: per come recepiva – strizzando l’occhio alla cultura popolare di quegli anni – una tecnologia nuova e suggestiva, preconizzandone le aberrazioni.

Il destino della realtà virtuale racconta però una storia molto diversa: il visore, dopo trent’anni, è rimasto sostanzialmente lo stesso; nonostante le decine di milioni di pezzi venduti, un prodotto come Oculus (l’unico ad avere una certa diffusione) difficilmente può essere considerato di massa; le sue applicazioni, salvo poche specifiche eccezioni, sono limitate alla sfera ludica; l’impatto sulla società in termini sia tecnici che culturali è stato irrisorio.

Di recente abbiamo assistito a diversi tentativi di riproporre questo genere di tecnologia. Grazie alla miniaturizzazione dei componenti, l’aumento della capacità di calcolo e la diminuzione dei costi, Google ha potuto lanciare nel 2013 i Google Glass; il successo commerciale del prodotto – ritirato nel 2016 – è ben rappresentato dal soprannome che si è immediatamente guadagnato chi lo indossava (“glasshole”). Apple starebbe lavorando da anni a un dispositivo analogo, con caratteristiche miste AR/VR, la cui data di lancio viene ripetutamente prevista e quindi posposta dagli analisti; il nuovo dispositivo avrebbe un sistema operativo proprio e potrebbe – secondo indiscrezioni – un giorno sostituire l’iPhone (ma non si disse lo stesso di Siri?). Chi si sta tuffando a capofitto nel “metaverso” in una ingloriosa e costosissima operazione di marketing cosmetico è Facebook, tanto da aver cambiato il proprio nome ormai inviso a molti in Meta. Nel frattempo abbiamo assistito al lancio in pompa magna dei cinema (e a seguire persino dei televisori) in 3D – e al loro subitaneo, precipitoso declino.

Piazza reale e piazza virtuale

15 Novembre 2021Twitter threads, 🇮🇹 Italiano

Le indagini sulle chat antivacciniste che istigavano a delinquere o addirittura a compiere gesti piuttosto aberranti, mi stanno facendo pensare a come lo spazio virtuale stia trasformando in modo rilevante il nostro rapporto con il reale.

Prima del Web 3.0, lo spazio del discorso era la piazza pubblica (semplifico): quella mediatica, ma in termini piuttosto unidirezionali (programma → spettatore) e quella reale, dai confini però ristretti (chiamiamole “le chiacchiere da bar”). L’accoppiata virtuale-social ha reso il “bar” un luogo molto popolato ma anche non “agito”. L’unico agito è il linguaggio, che per avere un impatto su un ascoltatore sempre più desensibilizzato deve alzare ogni volta l’asticella.

In questo spazio in cui esiste solo la parola senza conseguenza, senza responsabilità, ovviamente non solo i toni ma anche i programmi, le presunte intenzioni, gli epiteti, gli allarmi, si amplificano fino a quando incontrano un limite. E l’unico limite è il linguaggio stesso. Un limite abbastanza ampio.

La virulenza che si innesca in questi circuiti raramente corrisponde alla disposizione che i partecipanti avrebbero – per indole – nel mondo reale. Qui però si crea il primo corto circuito: si innesca una spirale di suggestione, di allarme, di adrenalina, che diventa capace di incidere anche nei comportamenti “reali”, con un aumento spropositato di aggressività e frustrazione.

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