Come risolvere gli enigmi

6 Novembre 2020🇮🇹 Italiano

Nella primavera del 1999 si stava per completare l’ultimo tassello del rinnovo totale dei prodotti Apple voluto da Steve Jobs: l’anno precedente era uscito l’iMac, rivoluzionario sia per architettura (un taglio netto col passato) che per forma (un’inaspettata combinazione di plastica bianca, colorata e trasparente in un formato “all in one”); la linea professionale era già stata riorganizzata con un portatile e un desktop, anche quest’ultimo profondamente rinnovato nella forma; mancava all’appello solo un portatile economico.

Dopo lo shock dell’iMac, utenti e commentatori non sapevano veramente cosa aspettarsi. La segretezza dei progetti di Apple era impenetrabile e la più piccola indiscrezione dava vita a congetture raffinatissime. Su quello che poche settimane dopo si sarebbe rivelato essere il primo iBook iniziò a circolare una voce singolare: un alimentatore “a yo-yo”.

Ma a cosa poteva servire un alimentatore a yo-yo? Doveva trattarsi, evidentemente, di un colpo di genio, di una soluzione avveniristica, inaspettata. Iniziarono le speculazioni e si convenne a un certo punto che non poteva che trattarsi di un meccanismo manuale di ricarica: un congegno, insomma, a manovella. Ecco il coniglio che Jobs aveva nel cilindro: un portatile a totale indipendenza energetica.

Ebbene, l’alimentatore a yo-yo altro non era che un trasformatore a forma di disco, provvisto di una scanalatura entro cui avvolgere il cavo senza farlo imbrogliare. Per sciogliere il mistero, la fantasia dei commentatori si era inoltrata così in là da cercare problemi che gli corrispondessero, problemi che in realtà non esistevano nemmeno. La soluzione dello yo-yo era – pur nella sua eleganza – molto semplice, concreta, quasi pedestre.

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Un mondo terribilmente complicato

11 Ottobre 2020🇮🇹 Italiano

“Ah, Cindy Sondheim, saresti dovuta nascere in un’altra epoca”, commenta nostalgico l’improbabile Conte Dracula di Amore a primo morso mentre l’oggetto delle sue attenzioni trangugia due Xanax. “Le cose erano più semplici, meno complicate. Sai quante donne hanno avuto un esaurimento nervoso nel Quattordicesimo Secolo? Due.”

Più semplici, meno complicate. Meno conoscenze, meno informazioni da elaborare e, al posto loro, una rassegnata fiducia nella Provvidenza, unico argine a una serie di iatture (pestilenze, guerre, calamità) sulle quali si aveva un controllo piuttosto modesto. E meno responsabilità: felicemente ignari dei successivi doni di Freud che ci avrebbero portato in dote un po’ di autoconsapevolezza, certo, ma anche – ohinoi – molti esaurimenti nervosi.

Le avrebbero complicate, le cose, innanzitutto certi manigoldi del Seicento – Galileo, Keplero, Newton, Leibniz… – che sul metodo, sulla matematica, sulla verifica sperimentale hanno fondato insieme a molti altri i principi ancor oggi validi del metodo scientifico.

Il “linguaggio segreto” della Natura (la matematica) e il suo alfabeto (i numeri) perdono i loro aspetti più speculativi e si scoprono dotati di nuove possibilità euristiche: la techne (termine che indica ambiguamente scienza, arte e artigianato) si trasforma definitivamente in sola scienzagrazie alla comparsa del “dato”: l’ente discreto e indivisibile su cui fondare le proprie certezze.

Ma i dati aumentano, così come aumentano le loro relazioni, che devono essere innanzitutto causali. Non è più possibile pensare a una “cartografia” dell’esistente con un rapporto 1:1, come per la mappa di borgesiana memoria (in “Del rigore della scienza”): abbiamo bisogno di riduzioni, di sintetizzazioni, di estrapolazioni. Cerchiamo il trend e il pattern che ci guidino verso risposte che, avendo a che fare con le decisioni, alla fine sono spesso binarie.

Troppi dati e il mondo diventa, appunto, terribilmente complicato. Torniamo con la mente a quell’epoca non complicata e la immaginiamo barbara e superstiziosa, ma anche semplice. Crediamo di aver rinunciato a un po’ di innocenza in cambio della indistruttibile sicurezzanelle nostre scelte e questo alla sola condizione di seguirne i rigidi protocolli.

Eppure.

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