Una foto che gira “tagliata” maliziosamente ad arte mi ha fatto tornare in mente un vecchio intervento che feci sul tema della “cornice”. Per tirar fuori qualcosa di utile da questa meschinità, riprendo qualche spunto. La fotografia è un medium strano: tutto ciò che è al di fuori del frame è importante tanto quanto ciò che è dentro, anche se spesso non ci si fa caso.

Joseph Koudelka, Praga, 21 agosto 1968

Mentre un pittore, creando una scena, “decide” cosa esiste e cosa no nell’immagine, il fotografo “esclude” una fetta di mondo dall’inquadratura: una fetta di mondo che esiste e che viene separata dal soggetto solo, artificialmente, dallo scatto.

W. Eugene Smith, “Spanish Village” 1950

Esistono due scuole di pensiero: per alcuni, l’inquadratura va composta al momento dello scatto. Per altri (me incluso), va trovata in camera oscura. In questo caso, se abbiamo i provini, possiamo sbirciare nelle decisioni dell’autore.

Arnold Newman, Igor Stravinsky
Arnold Newman: provini per il ritratto di Stravinsky

Erwitt: si noti il taglio estremo, operato poco al di sopra del margine del vestito della signora. Quei pochi centimetri in più introducono la sua figura così tanto che il resto dell’immagine non ci serve.

Elliott Erwitt, New York, 1946
Elliott Erwitt: provini

Per descrivere la potenza di storytelling della sola inquadratura, uso spesso una celebre foto di Marilyn scattata da Ed Feingersh. Il close-up estremo, quasi una fototessera, è claustrofobico e contrasta con l’immagine sorridente della Monroe.

Ma un momento, la foto è un’altra: c’è un cartello in grande evidenza (il “peso” della parte superiore bilancia quello del soggetto nella parte inferiore). È una stazione, c’è un viaggio una separazione, un’avventura in corso?

No, è la stazione della metro, c’è gente, è una semplice scena urbana.

Il volto sorridente ed “eccezionale” di Marilyn contrasta con la quotidianità del setting, con le persone addirittura indifferenti che non si accorgono nemmeno di quanto accade.

E in realtà la foto vera è questa: nel taglio deciso dall’autore compare la “storia”, l’elemento umano, la scintilla. Le linee geometriche della prospettiva convergono sulla Monroe, incluse quelle dello sguardo di un passante. Il “peso” del passante è quasi pari a quello della protagonista: ne amplifica il ruolo, fa emergere la relazione tra lei e, in realtà, noi, che siamo tutti un po’ quell’uomo. È lui che “accende” la storia.

Tutti gli elementi si combinano in una storia, l’essenziale è “dentro”, il non essenziale è “fuori” – ma non smette di esistere: viene semplicemente sottinteso e lasciato alla nostra immaginazione. In quel fuori (a un metro, a migliaia di chilometri) ci siamo anche noi. Una foto non racconta mai la realtà, racconta sempre una storia. E nel solo atto dell’inquadrare c’è l’inevitabile presenza dell’autore.


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