Questo post è stato pubblicato originariamente come editoriale di ottobre 2023 sul sito di BombaCarta.
Pochi concetti appaiono certi e allo stesso tempo ambigui come quello del corpo. Di esso abbiamo esperienza immediata e incontrovertibile: eppure quello stesso oggetto della nostra esperienza ne è anche in un certo modo soggetto in quanto agente delle sensopercezioni.
Ciò vale però solo per il nostro corpo, giacché quello degli altri – per quanto possiamo coglierlo empaticamente come affine – ci rimane in questo rispetto estraneo e si confonde con gli altri oggetti del mondo.
Pur essendo immersi da sempre nella nostra esperienza corporea, scopriamo il corpo a poco a poco senza ritenere mai una vera esperienza dell’inizio. L’incontro col mondo (volendolo far coincidere con la nascita, cosa niente affatto scontata se consideriamo la progressiva maturazione delle capacità percettive del feto) è segnato da “pena e tormento per prima cosa”; eppure non ce lo ricordiamo: in quel frangente non abbiamo alcuna capacità di discriminare ciò che è dentro da ciò che è fuori, ciò che è nostro da ciò che non lo è. Siamo, a ogni stimolo (una colichetta, il senso di fame), un sentire senza oggetto, totale e totalizzante; stimolo che non è ancora “un” dolore collocato in “una” parte del corpo: siamo dunque noi, in quel momento, tutto-dolore, tutto corpo, tutto disperazione fino alla salvifica poppata che ci rende improvvisamente tutto appagamento e piacere. Un giorno, più in là, scopriremo le “nostre” mani e i “nostri” piedi con curiosità e un po’ di sconcerto.