Roma, 1 luglio 2024

Carissimi,

Sono iscritto a LO sin dalla prima campagna di tesseramento e sono stato ospite di alcune dirette.

Ho partecipato l’altra sera – come “ospite dal pubblico” – alla live “Processo a Boldrin”. Mi sono messo a disposizione (avendo avuto nelle 48 ore precedenti un lungo scambio con Michele su Twitter) dopo aver seguito per un’ora circa un processo che – per quanto la definizione fosse ironica – mi sembrava, diciamo, poco “puntuto”. Il mio contributo è stato quello che è stato (eravamo credo tutti stanchi e l’oggetto del contendere sembrava scivolare continuamente dalle mani) e accetto di buon grado il fatto che quello che volevo comunicare sia sfuggito quasi per intero e quasi a tutti – o almeno, a leggere i commenti, quasi a tutti quelli che interagivano in chat (il “mio” medium, del resto, è la scrittura: lenta, riflessiva e accurata).

C’est la vie.

Ho avuto però l’impressione che da un certo punto in poi il processo di Liberi Oltre a Boldrin stesse diventando il processo di Gaston a Liberi Oltre, cosa che non era nelle mie intenzioni, che non era anzi nemmeno nei miei più remoti pensieri, da cui non sono riuscito a sterzare e che ha dato luogo a una serie infinita di fraintendimenti. Il collasso dei due argomenti ha portato, a mio parere, a una confusione ancora maggiore di quella da cui si partiva.

Dal canto mio, nel tentativo di essere sia preciso che comprensibile non sono riuscito a essere né l’uno né l’altro. Troppo tecnico per essere chiaro, troppo semplice per essere preciso. Forse. O almeno così deduco dagli effetti.

Però.

Però dopo questa esperienza, alla presenza attiva di figure influenti e autorevoli dell’associazione, inizio veramente a interrogarmi su LO.

Ho chiesto: mi date una definizione di dibattito? Ci sta che Michele, “imputato”, di fronte alla domanda su cosa lui faccia nei propri video defletta (è “un passatempo” etc.). Non ci sta che in un “processo” – a lui che poco prima scriveva parlando di sé su Twitter che “l’informazione costa” e che si deve “convincere chi ascolta” (parametri che nella mia interpretazione lo qualificano de facto come un aspirante professionista dell’informazione) – giudice e PM non lo invitino a un puntuale chiarimento.

Ma la risposta grave, a questa domanda, è quella dei moderatori i quali, dopo aver precisato che dibattito e intervista sono due cose diverse (avendo presumibilmente chiare, quindi, le rispettive definizioni) mi hanno saputo solo dire “il dibattito è questo qua”.

E allora mi chiedo: non potendo pensare che la si volesse buttare in caciara per malafede e avendo numerose controprove che non manchi l’intelligenza per formulare una risposta appena meno tautologica, è forse l’unica spiegazione possibile quella che parliamo due lingue troppo diverse?

Che grado di consapevolezza c’è, in LO, su ciò che si fa? Un’associazione che ha addirittura un canale STEM e che si è sempre dichiarata fautrice della forza della scientificità, del valore delle competenze, della cura delle metodologie (i dati, perbacco, i dati!), che metodologia segue per i propri video?

Che approccio c’è (e oggi preferisco essere non inteso piuttosto che frainteso) alla costruzione del problema? Che sforzo ermeneutico nei confronti dell’interlocutore? Che osservanza c’è del rigore linguistico il quale, derogabile nelle conversazioni informali, deve essere invece direi quasi religioso quando la chiacchiera rischia di diventare tale in senso heideggeriano? Qual è il processo di encoding/decoding, non solo nel rapporto con l’ospite ma soprattutto nei confronti del terzo (incluso tutto il mondo di incidenza che va oltre il mondo di osservazione)? Come vengono affrontati internamente e nella community gli assunti di base? Come viene stimata, sì da rendere efficiente la comunicazione, e attraverso quali feedback o quali osservazioni la modalità in cui il pubblico recepisce questi messaggi? Che responsabilità ci si assume, e verso chi, fino a dove, in queste trasmissioni e attraverso quali processi viene valutata? E, più in generale, come vengono esaminati, gestiti, integrati, orientati gli elementi di groupship e membership dell’associazione? Secondo quali linee guida?

Non penso che non mi sappiate o vogliate rispondere: temo, purtroppo, che tutte queste domande (che grattano solo la superficie) suonino per voi – dicevo – come una lingua straniera.

Scorrendo fra i commenti al video il giorno seguente, non mi ha disturbato la valanga di critiche: sono, dal canto mio, avido di spunti di riflessione anche quando presentati aspramente. Mi ha però molto sorpreso la modalità belluina, viscerale, mai argomentata, derisoria, diarroica (e non moderata, anzi…), che così bene conosciamo dalle nostre consuetudini coi social e che dovrebbe essere un tambureggiante invito a una sosta introspettiva. È diventata questa community una “tribù”?

Al di là delle autodefinizioni, chi si pone nello spazio pubblico utilizzando un medium per rivolgersi a un’audience ha – secondo me – il dovere etico di porsi queste domande e di continuare a porsele senza sosta. E posso accettare che manchi la risposta.

Ma non posso appartenere io a uno spazio in cui manchi la domanda.

Per questo motivo, prendendo molto seriamente la mia partecipazione anche solo formale a tutte le iniziative cui aderisco, restituisco oggi “virtualmente” la mia tessera di Liberi Oltre. È un atto senza particolari conseguenze pratiche, ma per me simbolicamente necessario.

Con immutata cordialità e un invito affettuoso al sano esercizio della virtù della prudenza,

Cristiano M. Gaston