Come mai di fronte a un abuso plateale, netto, privo di sfumature, c’è da parte di alcuni una corsa ai distinguo, se non un vero e proprio fiancheggiamento dell’aggressore? La risposta è piuttosto articolata per cui cercherò di schematizzare molto.
La condizione esistenziale della “vittima” è quella di non avere il potere di venire a patti. È una condizione psicologicamente angosciante ben oltre gli effetti concreti dell’abuso perché ci mette di fronte alla possibilità dell’impotenza.
L’impotenza non ci piace. Sono lontani i tempo dell’Anànche greca, la necessità frutto del capriccio degli dei cui non possiamo che sottometterci. L’uomo moderno ha asserito il proprio trionfo sulla Natura con la tecnica e sull’Altro con vari strumenti fra cui la retorica.
Il che ci rende potenti/responsabili degli eventi della Natura e dei rapporti con l’Altro: ma questo altro è sempre un Alius, un alieno, o un bàrbaros, al massimo uno Xènos, uno straniero – non ci è mai veramente simile, non è uno dei “nostri”.
E l’accento si sposta facilmente dalla responsabilità per posarsi esclusivamente sul potere. La responsabilità prevede anche dei doveri ed è molto più comodo lasciare ad altri queste incombenze. Altri saranno, quindi, i colpevoli. Anche quando diciamo “siamo tutti colpevoli” in realtà stiamo pensando agli altri: noi non ci mettiamo veramente nel mucchio (altrimenti diremmo: “io sono colpevole”).
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