
“Is the Internet changing the way you think?”
Questa domanda è stata posta nel 2010 ai membri della Edge Foundation, che raccoglie scienziati, filosofi, artisti, manager, giornalisti e altre personalità appartenenti agli ambiti più disparati (tra gli altri – per dare un’idea – Albert-László Barabási, Douglas Coupland, Mihaly Csikszentmihalyi, Richard Dawkins, Brian Eno, Howard Gardner, Marissa Mayer, Tim O’Reilly, Larry Sanger, Nassim Taleb e Ai Weiwei).
Le risposte, come prevedibile, si dispiegano lungo tutta la gamma compresa tra l’entusiasmo e la preoccupazione. È lo stesso anno in cui, del resto, escono da una parte “Cognitive surplus: Creativity and generosity in a connected age” di Clay Shirky e dall’altra “The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains” di Nicholas G. Carr (non a caso sono loro le prime due risposte inserite nel volume).
Presentate con un taglio ottimista o pessimista, le riflessioni vertono però tutte più o meno sugli stessi argomenti:
- il numero di informazioni disponibili, cresciuto esponenzialmente
- il cambiamento delle abitudini collegate al reperimento di queste ultime
- le connessioni sociali, moltiplicate per quantità e per velocità di interazione
- la soglia di attenzione, modificata dal bombardamento di nuovi stimoli
- le tecnologie che presto o tardi diventeranno obsolete e le possibilità introdotte da quelle che le sostituiranno